Tutto ciò che è necessario per il trionfo del male, è che gli uomini di bene non facciano nulla.
Edmund Burke

La legge n. 211 del 20 luglio 2000 ha istituito il Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti. Espressamente il fine è “ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio,  ed  a  rischio  della  propria  vita   hanno  salvato  altre  vite  e  protetto  i  perseguitati.” In tutta Italia il 27 gennaio – giorno della liberazione del campo-simbolo di Auschwitz – è il giorno dedicato al ricordo. Ci sono fatti che la storia e il ricordo delle persone cerca di cancellare, censurare, dimenticare forse per esorcizzarne l’orrore, per nascondere le ferite o semplicemente per evitare di guardare quei fatti dritto negli occhi e doverci fare i conti. E invece, assai spesso – anzi, forse sempre – questi fatti vanno ricordati, tramandati alle nuove generazioni, resi parte integrante della cultura del mondo perché possono insegnare moltissimo con il loro carico di dolore. Perché mai più si ripetano nella storia. Ecco perché di fronte all’immensa tragedia dell’Olocausto del popolo ebraico perpetrato dal regime nazista follemente guidato da Adolf Hitler durante la Seconda Guerra Mondiale, un uomo non può dimenticare o fare finta di nulla. Portarne il ricordo significa ricordare a quali abissi l’uomo può arrivare. Ma anche come ne può incredibilmente rinascere. Non a caso nella formula istitutiva della Giornata della Memoria scelta dal nostro Parlamento, viene richiamata in modo particolare l’importanza di ricordare questa pagina nera della storia in ambito educativo e scolastico “in ogni ordine e grado”. Ricordare infatti è doloroso, ma è indispensabile per costruire il futuro. Ed è altrettanto indispensabile che i giovani sappiano quanto è accaduto, tocchino con mano di cosa è capace l’uomo, se ne rendano conto e, forti di tali esperienze, crescano con la voglia di essere migliori di quanto non siano stati i loro padri. Per questo la Shoah non può essere un fatto “del popolo ebraico”, ma è in un certo senso patrimonio di tutti. Perché il mondo dimentica in fretta. E fatica ad imparare dai propri errori, come altri grandi e assurdi genocidi, prima e dopo la Guerra, ci hanno tristemente testimoniato. Per questo non bisogna dimenticare. E fissare negli occhi quei volti perduti nelle tenebre dell’odio e nella cecità delle ideologie che ci insegnano più di qualunque lezione sulla storia.

produzione Officine T.O.K. – Comune di Fivizzano

di Elisabetta Dini
con Elisabetta Dini e Matteo Taranto
tecnica utilizzata attore e immagini
età consigliata dai 12 anni in su

locandina_

Lettere su legno è uno spettacolo scarno che delega alla corrispondenza epistolare e alla storia la responsabilità di creare una coscienza. Quando si parla di Shoah tutto si trasforma in retorica, perché è talmente palese l’orrore che è stato compiuto che il nostro compito è quello di essere un semplice strumento attraverso il quale tramandare la memoria. Alla luce di questa riflessione ci siamo chiesti quale fosse il sentimento artefice del nostro benessere e del nostro malessere interiore. Quale sentimento può seguire una propria evoluzione estraniandosi dagli avvenimenti esterni che si succedono? La risposta che ci siamo dati è stata: semplicemente l’amore. L’amore in tutte le sue coniugazioni.
L’amore è ciò che spinge gli esseri umani a farsi domande sulle assenze.
In questo spettacolo la microstoria di due giovani amanti, una storia comune e banale, viene guidata dalla macrostoria del loro paese.
Siamo di fronte ad una scena contemporanea che predilige strumenti di indagine che parlano di rottura, di lacerazione, di devastazione emotiva, ma la violenza della Shoah, dal nostro punto di vista, poteva essere raccontata solamente con dolcezza e verità.
La vita di Guido e Sara nella Firenze di fine anni ’30 che si protrae fino al dopo guerra, è la cronaca di due persone, ebree, che attraverso un racconto epistolare s’incamminano verso il secondo conflitto mondiale e tutto ciò che ne consegue. Per fare questo è stato scelto l’utilizzo dei media in scena. Ispirandoci a format televisivi, come La storia siamo noi di Giovanni Minoli, abbiamo improntato lo spettacolo come una docu-fiction. Grazie all’ausilio delle nuove tecnologie il linguaggio sviluppato è diretto e si rivolge ad ogni tipologia di pubblico. Fin dall’inizio, il nostro obiettivo è stato il pubblico più giovane, che mai come ora ha necessità di sapere e di conoscere. Un linguaggio affascinante che unisce: il disegno, i video originali di archivi cinematografici e il gioco delle ombre.
In scena due leggii, non come supporto, ma come apporto alla scena. I leggii mostrano i momenti intimi dei protagonisti, perché intima è da sempre la scrittura di una lettera. Non c’è crudeltà né visiva né emotiva, c’è solo un percorso che obbliga alla riflessione.
Officine T.O.K. crede che Lettere su legno possa arrivare ai cuori, dentro alle persone senza artificio, ma solo con la forza della verità. Non c’è distruzione, ma una voglia di far rivivere il buio di quella parte di storia in modo da rafforzare la coscienza. La drammaturgia è supportata da una minuziosa ricerca storica, che comprende: lo studio del tipo di scrittura delle lettere, la musica del periodo fino alla scelta dei contributi video.
I video che supportano lo spettacolo sono stati selezionati dopo un’attenta visione di tutti i materiali presenti. Abbiamo omesso volutamente le scene più violente, volgendo la nostra attenzione a primi piani e a scene di massa. I primi piani, guardando verso la platea, è come se domandassero spiegazioni, obbligando così lo spettatore a porsi delle domande, mentre le scene di massa ci restituiscono la complessità dell’olocausto.
Le lettere che dal foglio bianco passeranno al legno delle baracche nei campi di concentramento, sono le lettere su legno da cui nasce il titolo.
La voce narrante scandisce il tempo che inesorabilmente tutto travolge mentre gli attori in scena questo tempo lo subiscono con le loro emozioni e il loro corpo. Il tutto, condensato in un’ora circa di visione, vuole far emergere un messaggio: il prezzo pagato è troppo alto per permetterci di dimenticare.
In scena: Matteo Taranto ed Elisabette Dini e all’impianto multimediale: Ines Cattabriga.

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