Una donna aspetta in stazione il treno che la porterà nel suo piccolo paese di origine. Gli spettatori sono i viaggiatori che attendono con lei in stazione.
La donna attraversa con ironia, e con profonda nostalgia, la sua infanzia e gli eventi che sono distintivi nel “suo” paese, parlando di figure storiche e “importanti” che vivono e tengono in vita una comunità.
Una fotografia sognante e amara di cosa sia vivere un paese. Sognante perché alcune persone che sono frutto della nostra memoria infantile, col passare del tempo, diventano un ricordo romanzato e ricco di sfumature; amara perché le grandi mancanze di un borgo, spingono le persone ad abbandonarlo.
In un onesto flusso di coscienza la protagonista si interroga sulle forze e le debolezze di una comunità, proponendo al pubblico una riflessione semplice: è meglio andare o restare?
Ci sono delle nicchie d’affetto, ci sono degli anfratti di vita vissuta che rimangono lì a disposizione della nostra memoria. Sono varchi aperti che ci fanno ritrovare l’abbraccio di una persona cara, i giochi in una sera d’estate, le corse a perdifiato per le strade, il vociare di un bar, la predica del prete e tanti altri frammenti che ricomposti non sono altro che il ritratto del paese, del tuo paese, del mio paese, del suo paese… Perché il paese è come il Vicks: ti rimane l’odore addosso.

produzione Officine T.O.K.

di e con Elisabetta Dini
regia e scenografia Ines Cattabriga

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